Non è un fatto casuale se pubblichiamo proprio oggi questo editoriale su europeleft.it, il sito di Europa a sinistra, il comitato che in Italia promuove la campagna di adesioni individuali al Partito della Sinistra Europea. Dal 1985, infatti, il 9 maggio è la Festa dell’Europa, ricorrenza che si sovrappone alla storica Giornata della Vittoria sovietica sulla Germania nazista nella Seconda guerra mondiale, a dimostrazione di quell’assenza di una memoria europea condivisa di cui ha scritto Leonardo Paggi (v. Rottamare Maastricht, DeriveApprodi, 2016). Il 9 maggio è la giornata giusta per chiedersi se l’Europa in cui viviamo sia effettivamente quella in cui vorremmo vivere.
Lungo tutto il ventesimo secolo, simili quesiti partecipavano del più grande interrogativo su quale fosse il mondo per cui ci battevamo: quello in cui il lavoro morto comandava sul lavoro vivo oppure l’auspicato contrario. Per alcuni decenni, la costruzione del muro di Berlino servì a dare una risposta drastica e fortemente condizionata dalla geopolitica: l’Europa atlantica a egemonia ideologica del capitale di qua, l’Europa sovietica a egemonia ideologica del lavoro di là. Per molto tempo, tanta parte della sinistra si illuse di poter stare con i piedi nell’Europa di qua e con la testa in quella di là: la cosa, è noto, era destinata a fallire. Dopo lunghi decenni di guerra più o meno fredda, il campismo fu risolto dal collasso orientale e dalla conseguente vittoria occidentale.
Sono semplificazioni, è ovvio, ma che consentono di comprendere i motivi per cui, appena pochi anni prima dello sfondamento a Est del capitale, la CEE decise di spostare avanti di quattro giorni una festa che nel 1964 il Consiglio d’Europa aveva fissato per il 5 maggio. La data del 9 maggio fu scelta con riferimento alla dichiarazione Schuman, ma in realtà fissò una sorta di avamposto ideologico nell’ottica dell’annientamento anche culturale e storico del nemico, secondo una logica che avrebbe guidato la costruzione neoliberale dell’Europa unita, quella del there is no alternative, cioè della distruzione di qualsiasi alternativa, praticata o anche solo pensata, all’eterno presente del capitale che domina sul lavoro.
L’Europa senza alternativa è la stessa che poche settimane fa ha votato al Parlamento di Strasburgo contro la proposta di rendere liberi i brevetti vaccinali anti-Covid, promossa proprio dal gruppo europeo de La sinistra, con il fine di svincolare la salvezza dell’umanità dal profitto capitalistico: tutti coloro che hanno votato contro si trovano oggi a rapportarsi con le grandi superpotenze che hanno fatto propria, sebbene per altre vie ed altre motivazioni, la stessa proposta. Primi fra tutti gli Stati Uniti d’America di Joe Biden, ovverosia la potenza egemone a livello mondiale e dominante nell’emisfero occidentale: l’Europa senza alternativa, dunque, è anche un’Europa senza capacità prospettica, anche nei rapporti con l’alleato ostinatamente presentato come “strategico”.
Europa a sinistra, con tutte le cittadine e i cittadini che con noi vorranno mobilitarsi per la costruzione del partito europeo della sinistra, rivendica la data del 9 maggio come giorno dell’Europa capace di una prospettiva alternativa a quella esistente. Contro un’integrazione fra i popoli europei retta ideologicamente sull’annientamento della possibilità non di un’altra Europa, cioè di un’idea astratta e immaginifica di un continente che non esiste, ma di un’Europa altra, di un’alternativa che già esiste sebbene oppressa da quanti usano del proprio potere per negare o nascondere la sua esistenza. Un cerchio di dodici stelle ma su di un fondo non azzurro, ma rosso: un gesto sfrontato di resistenza a quanti hanno usato l’idea di unire l’Europa come strumento di affermazione del capitalismo.
Personalmente un europeismo senza socialismo non mi interessa. Al contempo, però, ho difficoltà a immaginare un socialismo che non si ponga l’obiettivo di unificare l’Europa, e con essa il mondo. Certo, non nelle forme finora conosciute della primazia del capitale sul lavoro e della centralità, anche costituente, del mercato; né di quella della libera circolazione della merce forza-lavoro ma non degli esseri umani che la portano con sé e su di sé (ecco la contraddizione dell’UE rispetto al fenomeno migratorio).
Poiché indubitabilmente esistiamo, si pone di fronte a noi la più classica delle domande rivoluzionarie: che fare? Le compagne e i compagni autorganizzati nel comitato Europa a sinistra hanno deciso di prendere la parola, per facilitare e diffondere l’adesione individuale al Partito della Sinistra Europea e per contribuire, non da una prospettiva velleitaria, alla costruzione di un’organizzazione politica continentale in cui le mediazioni nazionali accelerino e non frenino lo sviluppo del coordinamento della lotta politica e sociale su tutto il Continente.
Perché ciò sia possibile, in tempi di pandemia, siamo tutti chiamati nei prossimi mesi a svolgere innanzitutto un impegno informativo (anche attraverso lo strumento del sito e dei canali informativi e social) per far conoscere la grande mole di elaborazioni, proposte e, in generale, il lavoro dell’europartito della Sinistra Europea e dell’eurogruppo parlamentare della Sinistra. Così come siamo chiamati a buoni e stabili rapporti di amicizia con tutte le organizzazioni che, a vario titolo, si riconoscono in questi due soggetti, con l’obiettivo comune della costruzione di un’infrastruttura politica che, a partire dall’Italia, condivida programmi, connetta le lotte e ricostruisca una comunità. Un’infrastruttura capace di coordinare i piccoli frammenti delle lotte che gli oppressi ancora conducono contro gli oppressori che, anche quando non sembrano immediatamente europee, difficilmente non trovano nell’Europa uno dei luoghi decisivi della loro evoluzione.
Questo l’ambito nel quale abbiamo deciso di impegnarci e al quale chiediamo a tutti di unirsi, per una prospettiva che nasca dall’adesione a un perimetro comune: quello dell’unica opposizione esistente non all’Europa unita, ma a questa Unione Europea. C’è indubbiamente molto da fare e molto da pensare e questo significa che c’è spazio per ciascuna persona che voglia impegnarsi. Europa a sinistra non è un partito, perché un partito noi l’abbiamo già, quello della Sinistra Europea, ma una catena di esperienze in cui ogni aderente rappresenta un anello nuovo che si aggiunge ad allungare la catena, fino a che essa possa giungere a cingere l’Europa, e con essa il mondo, per stabilire una nuova unione tra i popoli, nella centralità del lavoro e della dignità della persona umana.